Ho deciso di andare al gay pride pur non avendo mai avuto prima particolari sentimenti di rivendicazione e riscossa per i diritti degli omosessuali, accontentandomi di nutrire nel mio intimo un sufficiente senso di tolleranza, ossia con riserve riguardo a certi temi, come l'educazione dei figli. Ho deciso di parteciparvi come spettatrice, non proprio mascherandomi, ma un po' lasciandomi contagiare dall'idea di libertà corporea che sentivo emanare dall'idea della parata. Così mi sono vestita, semivestita, armata di macchine fotografiche ed eccomi là. Una parata tranquilla, una passeggiata fatta da 250000 persone (e personaggi!), ma senza trasgressioni troppo inquietanti, con tanto di vecchiette omaggianti di sorrisi alle finestre.
Poi l'arrivo in piazza 8 agosto, l'intervento toccante di V. Luxuria, quello del presidente del Cassero (eminente circolo Arcigay bolognese), quello della presidente dell'Arcilesbica e dell'associazione dei transgenders.
Dicevo "toccante" il discorso della Luxuria perchè, a dispetto della mia quasi-indifferenza iniziale, mi sono ritrovata ad apprezzare una consistente pelle d'oca sulle braccia nonostante il caldo opprimente. Ha espresso un concetto fondamentale: quello di una democrazia non ipocrita, veramente tollerante, veramente aperta alla varietà dei suoi partecipanti. Poichè non è possibile nello stesso tempo ammettere certe libertà e negarne altre, e chiamare tutto questo democrazia.
Una vera democrazia deve essere aperta per statuto alle diversità, "perchè se loro chiamano questo una mascherata, io dico che sono loro che per primi indossano una maschera, quella dell'ipocrisia!". Una società che non riconosce i diritti degli omosessuali non è credibile come democrazia, significa che pur accordando certi diritti non è fondamentalmente e visceralmente libera, ma semmai adotta delle misure tipiche di una democrazia. I diritti degli omosessuali diventano così in un certo senso l'indicatore del livello di profondità democratica di una società.
Un'altra mia riserva riguardava un fastidio che provavo nei confronti dello stile comunicativo vigente nella comunità gay. Un certo modo di adottare da parte dell'omo-maschio questa femminilità terribilmente esasperata, improbabile, con certe inflessioni della voce che nemmeno la più fighetta delle ragazze etero si permetterebbe, qualcosa che viene usato solitamente per schernire i gay e che poi stupisce riscontrare per davvero. Dopo 40 minuti di parata tutti e tutte parlavano con quell'inflessione ("sei pazzzaa!!"). Ma a quel punto l'ho trovato naturale e me lo sono spiegato: noi ci serviamo di diversi registri, diversi vocabolari, diverse voci e diverse tonalità a seconda delle persone con cui parliamo. Con il gruppo di amici usiamo uno slang, un linguaggio particolare, giustificato proprio dallo stare in gruppo. A volte una battuta divertente viene rievocata tante volte da diventare un intercalare, e così un tono della voce, una pronuncia storpiata, iniziata per gioco ma poi diventata contraddistintiva del parlare con quelle determinate persone. E più l'identità di un gruppo è forte, più potenti saranno gli stili che promuove. A questo punto non c'è da stupirsi se in una comunità come quella gay, in cui il senso identitario è così forte, il cliché corrisponde al vero, perchè si diffonde, distingue, identifica.
Insomma, sono tornata a casa soddisfatta, con la mia magliettina che lasciava poco all'immaginazione. Mi sono imbattuta in persone che non erano state al gay pride o non ci hanno cavato un minimo di insegnamento. Mi sono sentita indirizzare non parole, ma fischi, frasette da tipico cafone italiano, richiami di quelle che si fanno a gatti e cani, tutto nel giro di 50 metri. E tutto questo nella strada più alternativa di Bologna. Mi sono buttata in casa incazzatissima e frustrata, urlando con il mio ragazzo che gli uomini sono degli stronzi, che sono così arroganti da permettersi di girare a petto nudo senza vergogna e io non mi sognerei mai di trattarli come dei semplici petti, invece io nei cinque minuti precedenti non sono stata per gli altri nient'altro che un appetibile pezzo di carne ecc, ed ero così arrabbiata..
Poi ho pensato che se fossi dentro di me un po' più sicura della mia sessualità, della mia femminilità, del mio essere corpo e cioè persona, forse verso chi mi aveva chiamato "ehi belle tette" avrei potuto, anzichè aggrottare le sopracciglia e tirare dritto, voltarmi con fierezza, alzare disdegnoso il mio petto e compatire chi non poteva guardare oltre quello, chi si muoveva in quest'antro scarso di significati.
Volevo concludere così perchè mi sembrava pertinente, perchè come ha detto Vladimir Luxuria "Qui si parla anche di sessualità, e ogni celebrazione della sessualità è sempre apprezzabile".
(nella foto: una donna musulmana osserva un gruppo di trans -che non appaiono in foto!)
Poi l'arrivo in piazza 8 agosto, l'intervento toccante di V. Luxuria, quello del presidente del Cassero (eminente circolo Arcigay bolognese), quello della presidente dell'Arcilesbica e dell'associazione dei transgenders.
Dicevo "toccante" il discorso della Luxuria perchè, a dispetto della mia quasi-indifferenza iniziale, mi sono ritrovata ad apprezzare una consistente pelle d'oca sulle braccia nonostante il caldo opprimente. Ha espresso un concetto fondamentale: quello di una democrazia non ipocrita, veramente tollerante, veramente aperta alla varietà dei suoi partecipanti. Poichè non è possibile nello stesso tempo ammettere certe libertà e negarne altre, e chiamare tutto questo democrazia.
Una vera democrazia deve essere aperta per statuto alle diversità, "perchè se loro chiamano questo una mascherata, io dico che sono loro che per primi indossano una maschera, quella dell'ipocrisia!". Una società che non riconosce i diritti degli omosessuali non è credibile come democrazia, significa che pur accordando certi diritti non è fondamentalmente e visceralmente libera, ma semmai adotta delle misure tipiche di una democrazia. I diritti degli omosessuali diventano così in un certo senso l'indicatore del livello di profondità democratica di una società.
Un'altra mia riserva riguardava un fastidio che provavo nei confronti dello stile comunicativo vigente nella comunità gay. Un certo modo di adottare da parte dell'omo-maschio questa femminilità terribilmente esasperata, improbabile, con certe inflessioni della voce che nemmeno la più fighetta delle ragazze etero si permetterebbe, qualcosa che viene usato solitamente per schernire i gay e che poi stupisce riscontrare per davvero. Dopo 40 minuti di parata tutti e tutte parlavano con quell'inflessione ("sei pazzzaa!!"). Ma a quel punto l'ho trovato naturale e me lo sono spiegato: noi ci serviamo di diversi registri, diversi vocabolari, diverse voci e diverse tonalità a seconda delle persone con cui parliamo. Con il gruppo di amici usiamo uno slang, un linguaggio particolare, giustificato proprio dallo stare in gruppo. A volte una battuta divertente viene rievocata tante volte da diventare un intercalare, e così un tono della voce, una pronuncia storpiata, iniziata per gioco ma poi diventata contraddistintiva del parlare con quelle determinate persone. E più l'identità di un gruppo è forte, più potenti saranno gli stili che promuove. A questo punto non c'è da stupirsi se in una comunità come quella gay, in cui il senso identitario è così forte, il cliché corrisponde al vero, perchè si diffonde, distingue, identifica.
Insomma, sono tornata a casa soddisfatta, con la mia magliettina che lasciava poco all'immaginazione. Mi sono imbattuta in persone che non erano state al gay pride o non ci hanno cavato un minimo di insegnamento. Mi sono sentita indirizzare non parole, ma fischi, frasette da tipico cafone italiano, richiami di quelle che si fanno a gatti e cani, tutto nel giro di 50 metri. E tutto questo nella strada più alternativa di Bologna. Mi sono buttata in casa incazzatissima e frustrata, urlando con il mio ragazzo che gli uomini sono degli stronzi, che sono così arroganti da permettersi di girare a petto nudo senza vergogna e io non mi sognerei mai di trattarli come dei semplici petti, invece io nei cinque minuti precedenti non sono stata per gli altri nient'altro che un appetibile pezzo di carne ecc, ed ero così arrabbiata..
Poi ho pensato che se fossi dentro di me un po' più sicura della mia sessualità, della mia femminilità, del mio essere corpo e cioè persona, forse verso chi mi aveva chiamato "ehi belle tette" avrei potuto, anzichè aggrottare le sopracciglia e tirare dritto, voltarmi con fierezza, alzare disdegnoso il mio petto e compatire chi non poteva guardare oltre quello, chi si muoveva in quest'antro scarso di significati.
Volevo concludere così perchè mi sembrava pertinente, perchè come ha detto Vladimir Luxuria "Qui si parla anche di sessualità, e ogni celebrazione della sessualità è sempre apprezzabile".
(nella foto: una donna musulmana osserva un gruppo di trans -che non appaiono in foto!)