mercoledì 30 settembre 2009

Lo sbuffo del treno

L'uomo del treno è l'uomo degli asciugamani; apre ogni tasca e ne estrae un asciugamano; piccolo, medio, grande, ma sempre azzurro. Ne toglie uno dallo zaino e (sempre sbuffando) cerca di infilarlo nella valigia, già stracolma (anche di asciugamani). Non ci riesce e allora sbuffa e si mette a piegarlo per bene. Poi estrae qualcosa dalla tasca, e da questo qualcosa estrae ancora qualcosa – soldi forse – e li infila da qualche parte nella valigia. Sbuffa, richiude il presunto portafoglio, se lo rimette in tasca. Chiude la valigia, gli cadono delle chiavi, sbuffa, le raccoglie: erano le chiavi del lucchetto della valigia. Serra la valigia, sbuffa, la sistema sul portabagagli. Prende lo zaino, ne estrae un pezzo di stoffa minuscolo nero, sbuffa, riprende la valigia pesantissima, la rimette sul sedile, la riapre – io esco a prendere un po' d'aria.
Quando è salito a Colonia sbuffando con un caffè in cartone e del pane in plastica, oltre a tutti i bagagli, si è messo a bere e mangiare con la stessa urgenza che si usa quando si torna a casa con la pipì da fare: si gettano a terra le cose che si hanno in mano, ci si siede sulla tazza con la giacca e la sciarpa e non si chiude la porta. Lui ha bevuto scuffando il caffè e ha infilato tra un sorso e l'altro un tozzo di pane, seduto sul ciglio del sedile attiguo a quello su cui avevo appoggiato i piedi scalzi, irrompendo nell'intimità della mia tristezza, costringendomi a ricompormi, nonostante la sua scompostaggine. Quando ha finito di rifocillarsi ha sbuffato e ha intrapreso lo smonta e rimonta prima descritto.
Adesso ha chiuso gli occhi abbracciando lo zaino che tiene sulle ginocchia.
Va in Italia.