domenica 22 marzo 2009

Adriano Meis, clandestino

Un aiuto dalla letteratura per comprendere e riflettere sull'attualità. In questi giorni in cui penso ad un amico, che è tornato nel suo Paese dopo essere stato clandestino nel nostro (ma di chi è poi veramente l'Italia?), provo a capire e come in regalo si presenta al mio fianco, mentre cammino speditamente per una commissione qualsiasi, Adriano Meis, quasi a rassicurarmi che non c'è bisogno di fare nuovi sforzi interpretativi, basta che io pensi a quello che ho provato leggendo delle vicissitudini di un uomo che non può avere un cane, non una casa, né dichiarare il proprio amore, né denunciare un misfatto subito e nemmeno farsi giustizia da solo. Questo perché non ha un nome, e non avere un nome non significa solo non avere doveri, infatti anche per il fu Mattia Pascal la gioia di questa consapevolezza dura poco: finisce quando diventa stanziale. In breve scopre di non avere nemmeno diritti, di non essere propriamente un uomo. Per fortuna non si ammala mai gravemente (chissà se all'epoca i medici abbiano avuto l'obbligo di denuncia). Anche Adriano Meis decide di tornare a casa: si priva di quella vita insulsa e riprende possesso di tutto quello che aveva volontariamente abbandonato (seppur guidato più che altro da un'incredibile fortuna, nel senso dantesco. Ma d'altronde molte cose della nostra vita sulle quali giureremmo di avere la completa padronanza, non dipendono se non dal coincidere di circostanze molto fortuite). E finalmente può parlare, si libera con forte sarcasmo e potenza di tutto quello che ha sempre e solo subito, finalmente pieno di sé, nel senso che è tutto riempito della sua identità, laddove c'era - nel periodo Meis – un inutile involucro di nulla, vuoto come un morto. Il suo nome lo rende libero.
L'amico rientrato a casa scrive della libertà di poter guidare la sua auto. E che gli sembra di essere rimasto 100 anni in prigione (erano solo 3, in libera circolazione,ma clandestino) e di essersi svegliato magicamente e di non aver potuto fare a meno di piangere.
Poi un altro personaggio ha cominciato a ballonzolare sdegnoso al mio fianco, tutto nudo: era l'Imperatore de I vestiti nuovi dell'Imperatore. Ancora non lo voleva ammettere di essere ridicolmente nudo, con quel corpicino rinsecchito da una vita immagino pigra e senza slanci vitali. E mi ha fatto pensare a quali estremismi può portare l'essere conformista, a quale vette di pazzia, in barba a tuti gli sforzi ufficiali di essere normali! Là nessuno aveva il coraggio di ammettere quello che gli occhi sottolineavano con evidenza, tutti per non rischiare di contraddire un senso comune (ingannato), rinunciavano a pensare, e, quel che è peggio, ad avere stima del proprio metro di giudizio. Tutti al servizio di un misterioso imperatore..un tale idiota! Ma, se non sbaglio, nella storiella, a gridare che il re era nudo e a ridere di cuore, erano i bambini..e i grandi facevano maschera ai loro occhi con le loro grosse manone popolane. O no? Non ricordo più bene.

venerdì 20 marzo 2009

Piazzetta Marco Biagi

Mi sono trovata per caso ad assistere ad una parata di moto della polizia e volanti dei carabinieri con tutti i lampeggianti in azione, ma in silenzio, senza sirene. Seguivano un branco di ciclisti bardati a puntino anch'essi in silenzio. La scena appariva surreale. Sembrava una squadra speciale che si preparava ad un agguato e spianava la strada per prendere possesso delle postazioni stabilite. Ho seguito lo strano corteo. Si sono fermati tutti in cerchio in piazzetta Marco Biagi, intorno a degli strampalati musicisti in silenzio. Tutti in silenzio. Un uomo con la fronte corrugata consegnava dei fogli. Sono corsa a farmene passare uno. C'era scritto "In memoria di Marco Biagi" in una cornice fatta di bicrome stereotipate. Dentro: Se bastasse una canzone di Ramazzotti, Strada facendo di Baglioni, due spirituals e Let it be. Guardandomi intorno ho avuto l'impressione che a questa commemorazione fossero presenti solo forze dell'ordine: carabinieri, poliziotti, finanzieri e ciclisti dell'esercito, più i vari comandanti in borghese. Ho avvicinato un carabiniere e gli ho chiesto del perché delle biciclette dell'Esercito. Non lo sapeva. se era la sua (di Biagi) la bicicletta che era stata condotta a mano a pochi metri da lì, davanti al portone dove è stato ucciso. Non lo sapeva. Era imbarazzato e ridacchiava. Il cantante chiede un minuto di silenzio (non ce n'era bisogno) e introduce la cerimonia della bicicletta. Essa viene fotografata insieme alla ragazza che la conduce (sua figlia?), al vice sindaco e ad altre personalità da una decina di flash e due telecamere. Gli altri astanti rimangono fermi ad osservare attoniti l'evento mediatico che si sta consumando a pochi decimetri. Gli stessi scatti delle macchine fotografiche fanno da colonna sonora al rientro della bici nel cerchio che si era spezzato per farla passare, poi i suonatori attaccano con Baglioni. Fa freddo. Si è alzato il vento. Al primo spiritual lascio la piazzetta.
Pubblico questo post in ritardo di un giorno e mezzo (rispetto a quando è stato scritto) per impedimenti tecnici. Mi scuso se può apparire meno attuale di quanto lo sarebbe stato se fosse stato rilasciato a caldo, ma ci tenevo comunque ad apporlo qui. 
La lotta dei papi contro l'aggeggio in lattice più comune al mondo, dopo i guanti usa e getta, non sembra aver subito una svolta originale. Da quando l'Hiv è una malattia tragicamente famosa, gli infallibili portatori dello zucchetto bianco hanno deciso che il temibile virus si scaglia sull'umanità come conseguenza naturale dell'andar peccando, di condotte sessuali lontane dalla via indicata dalla Chiesa.
In questo potrebbe leggersi qualcosa di provvidenziale, se non sapessi che i papi sanno come la Scienza spiega questi fatti, per quanto probi e osservanti possano essere i loro consulenti scientifici. Si potrebbe cioè pensare che Dio abbia mandato l'AIDS come punizione, come segno per i suoi figli disobbedienti; e in questo, a dire il vero, Dio dimostrerebbe di essersi evoluto ben poco, se spera di convincerci così. E per di più ricorda molto da vicino certe dichiarazioni provenienti da parte di esponenti dell'Islam radicale in Afghanistan in guerra con l'Occidente (ho appena letto il reportage di Pietro Suber). lo stesso Islam sommariamente indicato fra i peccati di cui l'Africa si macchia, insieme a poligamia e adulterio, e che provocano il propagarsi del virus.
Ma non è così, perché, come diceva Wojtyla, i malati di AIDS sono come Gesù, e vanno trattati come lui, perché vedranno il regno dei cieli (1989).
Lo stesso papa che aveva due anni prima incitato le potenti case farmaceutiche dell'Arizona a fare come il buon samaritano, e che quindi conosceva bene il problema, ma di fronte ai malati non poteva che offrire la consolazione della preghiera e la promessa di un altrove migliore.
La tradizione del pietismo non è stata interrotta da papa Ratzinger, anzi ribadita in questi stessi giorni del suo viaggio in Africa. Eppure anche lui non ignora le cause terrene della pandemia. Ma la soluzione, nonostante i dossier (segui link), è sempre la stessa: meno sesso. - E ma c'è il preservativo!- - Nooo! Quello non fa niente! Che c'entra il preservativo!-
Tutto sommato trovo giuste le affermazioni del Santo Padre sul fatto che tutto dipenda dalle ingiustizie sociali, ma tra queste annovererei anche la scarsa informazione, l'inaccessibilità dell'informazione sull'Hiv in queste valli di lacrime. Quindi definirei per lo meno incauto andare a raccontare a questa gente che devono semplicemente astenersi (come se fosse facile, visto che per la maggior parte delle persone, laici e non, fare l'amore è bello, soprattutto se nessun catechista ha mai cercato di convincerti del contrario) e "porsi accanto a chi soffre come S. Francesco baciando il lebbroso". Eh, no. Il lebbroso si "bacia", ma con il preservativo; e già spiegare come si usa sarebbe un'opportunità di sensibilizzazione contro comportamenti ritenuti scorretti.
E' giusto che la Chiesa si faccia carico della sua responsabilità morale nei confronti dei membri della sua comunità, ma, come disse Carlo Maria Martini (leggi il dossier dell'Espresso), è possibile accettare delle priorità, laddove la soluzione ecclesiastica sia poco effettiva.
Ma in fin dei conti, davvero il preservativo aiuterebbe nella lotta contro l'AIDS in Africa? O ha ragione il Papa, e l'unica soluzione è quella paziente dell'attesa che la retta via si faccia man mano più affollata, nonostante tutti i caduti che questo mostro incontenibile abbandona?
Beh, intanto c'è il fatto che, con il profilattico, materialmente, il virus non passa.
Rieccomi.