Un aiuto dalla letteratura per comprendere e riflettere sull'attualità. In questi giorni in cui penso ad un amico, che è tornato nel suo Paese dopo essere stato clandestino nel nostro (ma di chi è poi veramente l'Italia?), provo a capire e come in regalo si presenta al mio fianco, mentre cammino speditamente per una commissione qualsiasi, Adriano Meis, quasi a rassicurarmi che non c'è bisogno di fare nuovi sforzi interpretativi, basta che io pensi a quello che ho provato leggendo delle vicissitudini di un uomo che non può avere un cane, non una casa, né dichiarare il proprio amore, né denunciare un misfatto subito e nemmeno farsi giustizia da solo. Questo perché non ha un nome, e non avere un nome non significa solo non avere doveri, infatti anche per il fu Mattia Pascal la gioia di questa consapevolezza dura poco: finisce quando diventa stanziale. In breve scopre di non avere nemmeno diritti, di non essere propriamente un uomo. Per fortuna non si ammala mai gravemente (chissà se all'epoca i medici abbiano avuto l'obbligo di denuncia). Anche Adriano Meis decide di tornare a casa: si priva di quella vita insulsa e riprende possesso di tutto quello che aveva volontariamente abbandonato (seppur guidato più che altro da un'incredibile fortuna, nel senso dantesco. Ma d'altronde molte cose della nostra vita sulle quali giureremmo di avere la completa padronanza, non dipendono se non dal coincidere di circostanze molto fortuite). E finalmente può parlare, si libera con forte sarcasmo e potenza di tutto quello che ha sempre e solo subito, finalmente pieno di sé, nel senso che è tutto riempito della sua identità, laddove c'era - nel periodo Meis – un inutile involucro di nulla, vuoto come un morto. Il suo nome lo rende libero.
L'amico rientrato a casa scrive della libertà di poter guidare la sua auto. E che gli sembra di essere rimasto 100 anni in prigione (erano solo 3, in libera circolazione,ma clandestino) e di essersi svegliato magicamente e di non aver potuto fare a meno di piangere.
Poi un altro personaggio ha cominciato a ballonzolare sdegnoso al mio fianco, tutto nudo: era l'Imperatore de I vestiti nuovi dell'Imperatore. Ancora non lo voleva ammettere di essere ridicolmente nudo, con quel corpicino rinsecchito da una vita immagino pigra e senza slanci vitali. E mi ha fatto pensare a quali estremismi può portare l'essere conformista, a quale vette di pazzia, in barba a tuti gli sforzi ufficiali di essere normali! Là nessuno aveva il coraggio di ammettere quello che gli occhi sottolineavano con evidenza, tutti per non rischiare di contraddire un senso comune (ingannato), rinunciavano a pensare, e, quel che è peggio, ad avere stima del proprio metro di giudizio. Tutti al servizio di un misterioso imperatore..un tale idiota! Ma, se non sbaglio, nella storiella, a gridare che il re era nudo e a ridere di cuore, erano i bambini..e i grandi facevano maschera ai loro occhi con le loro grosse manone popolane. O no? Non ricordo più bene.