domenica 1 aprile 2018

Poesia di Pasqua

Disossata la mia anima
calcificata e immobile e porosa
la soluzione è giunta:
deridere!

Avvistato il nibbio
tre volte rigira
noi sorvolati
ci appiattiamo.

Usmati i maschi che corrono
non odore di sudore e di pelle
ma di ammorbidente

Mi coglie perfetto un sentimento
di risorgimento
poiché é Pasqua,
non mi resta che risorgere, risorgere!

L'agnellino scomodato nel suo carretto
sorride e si lascia andare
al sonno.
Dormirà per tre chilometri ancora.


martedì 1 maggio 2012

Cercasi buongiornista e buonaseratore

Gioiamat spa cerca buongiornista e buonaseratore/trice per triste condominio dell'hinterland milanese. La risorsa si occuperà di salire e scendere ripetutamente le scale o l'ascensore indirizzando saluti alle persone e infondendo loro la speranza per un mondo meno scontroso. Gioiamat è un'agenzia all'avanguardia nel mercato del rallegramento meccanico e seleziona i migliori professionisti sul campo capaci di unire l'efficienza di un aspetto radioso alla produttività in termini di capitale di buonumore.
Se sei privo/a di rughe di stizza, anche un po' sovrappeso e di aspetto bonario, inviaci il tuo cv con una foto. Astenersi cassiere/i e sportellisti/e.

venerdì 27 aprile 2012

Le galline sospese

Ho chiesto al mio fidanzato di raccontarmi una storia, e lui ha attaccato con certi galli spaziali giunti ad un raffinatissimo livello di tecnologia militare, ma che non si ricordavano più a che cosa servissero tutti quegli aggeggi. Così tristemente vagavano nell'oscurità infinita dell'universo smemorati e senza futuro. Ora uno di quei galli deve essersi precipitato da queste parti. Anzi, una gallina. Già da ieri sentivo rumori strani nello sgabuzzino, e oggi ho trovato tutte le cacchine in giro. Ne ho seguito le tracce fino ai piedi del letto, faccio per chinarmi a sbirciare di sotto ed ecco che una rossa pennuta mi saluta con un raffinato e per nulla turbato coccodè. La mia reazione è stata naturalmente di chiederle che cosa ci facesse lì e lei ha dispiegato una zampetta per volta e si è trascinata fuori. Trovatasi al mio cospetto, si è accovacciata e con un sospiro ha cominciato a spiegarmi: – Siamo rimasti senza memoria, disponiamo di cose che non conosciamo e ci sentiamo ovattati e incapaci. Per questo non abbiamo nemmeno voglia di capire che cosa ci succede intorno, non abbiamo interesse per nessuno e per niente e tantomeno per la comunità. Dato che non abbiamo un territorio dotato di forza gravitazionale, non ci rimane alcuna ragione per stare insieme e lentamente stiamo morendo tutti. E' stato difficile rendersene conto, data l'apatia generale, ma ecco.. ho fatto un sogno. Ho sognato questa casa. Ho sognato la tua memoria di galline e pollai e mi sono lasciata precipitare qui. Tornerò con un reportage strepitoso e salverò i miei polli!– 
Ero toccata dal racconto della cara avicola, e sentii davvero un moto grosso di solidarietà. Ma come, come potevo aiutarla?
–Cara gallina, mio nonno aveva un pollaio e avevamo sempre uova fresche. Ricordo nettamente solo un episodio: mi avvicinavo ad una di voi con la mia bicicletta di bambina, poi ricordo il dolore di una beccata e l'immagine della bici a terra ed io a distribuire la mia incredulità fra la mia mano e quella violenta. Da allora credo che smisi di amare le galline. Ma pare che siate buone per il brodo. Ecco, se vuoi scrivi questo.–
– Dunque è così? Voi mangiavate le nostre uova! Voi ci bollivate in pentola per raffinare dell'acqua calda! Voi ci chiudevate in un recinto! Voi non ci amavate! Dev'essere davvero per questo che siamo scappate dal pianeta. E forse il nostro orgoglio e voglia di vendetta deve averci spinto a costruire quegli aggeggi, che sono come dei moltiplicatori di beccate. Ahi che dolore! Che dolore!–
La gallina balzò in piedi, tentò un volo, poi tornò giù; ringraziò per le informazioni, poi fece qualcosa come una grossa scoreggia e disparve. Ma il pollaio dei cieli si era già mobilitato: un furibondo e minaccioso schiamazzo si levava dal gruppo. Eccoli ora tutti disporsi in file, in colonne, in squadroni; eccoli ora marciare silenziosamente pestando i piedi nel vuoto, giù, verso la Terra.
Ecco che si compiva la vendetta del Pollame, che con una troppo facile battaglia (nessun governo li prese sul serio e nessuno si decise a fare qualcosa), vinse sugli Uomini e instaurò il suo Regno.

martedì 24 maggio 2011

Cercasi poliglotta per importante tempio milanese

Sei giovane, dinamico, e sei stimolato dall'incontro con altre culture? Ti piace che l'incontro avvenga non solo su un piano superficiale, ma che tocchi i grandi temi dell'esistenza? Hai una particolare predisposizione ai rapporti umani e riesci ad entrare in sintonia con il tuo interlocutore? Così tanto che riesci a fargli parlare di fatti molto intimi a pochi minuti dalla prima stretta di  mano? E soprattutto, conosci inglese, francese, tedesco e spagnolo? Allora forse sei la persona che stiamo cercando!
Per importante centro di culto nel cuore di Milano, stiamo cercando una figura junior da inserire con contratto formazione lavoro. La risorsa si occuperà di accogliere i clienti nelle cabine poste sulle navate laterali per un colloquio iniziale, per verificarne l'effettiva purezza. La disinvoltura nella conoscenza della lingua straniera è fondamentale per mettere il cliente nella condizione di agio tale che possa rivelare i suoi peccati più reconditi senza temere di non ricevere il perdono.
La nostra azienda, da anni nel settore, si preoccupa da sempre di far sì che il turista straniero non creda a un Dio che storpi la pronuncia; il Dio che proponiamo noi (e che troverete sui nostri depliant) non direbbe mai "Ai forrghiv iù of ior sins in de neim of fater, son end oli gost"

La postazione di lavoro (clicca per ingrandire)

Gli oggetti ci parlano


Gli oggetti ci parlano, il mondo ci parla. Tutto è abitato da messaggi e se solo dessimo alle cose che ci circondano una possibilità, potremmo intrattenerci con loro arricchendo il nostro punto di vista sulla vita. Purtroppo, però, presi come siamo dalle mille incombenze quotidiane, spesso non riusciamo a sentire o a decifrare questi messaggi. E allora può capitare che gli oggetti si mettano ad urlare, o ti tirino per la giacca fino a che non dai loro retta, o si piantano lì davanti a te fino a che non li noti. 
E' quello che è successo a me nella sala d'attesa del reparto ginecologia di un ospedale, dove avevo appuntamento per una visita. Un  reparto dall'aspetto molto confusionario, con gran via vai di persone in camice che quando le fermavi per chiedere informazioni ti guardavano sorprese e del tutto impreparate come se non si aspettassero di incontrarti lì. Fu una di loro a togliermi dai piedi dicendomi di aspettare qui, in sala d'attesa. 
Dopo un'ora di vera attesa, senza ricevere alcun segnale confortante di essere nel posto giusto, di non aver sbagliato il giorno della gita o addirittura pianeta, finalmente guardo il pavimento. E quello che vedo è una piccola vagina rosa che mi dice, un po' rauca: –Cretina, guarda che devi andare nell'altra sala d'attesa, dove ti stanno chiamando da un'ora–

lunedì 23 maggio 2011

Gli addetti alle candele

Sei un giovane promettente tra i 15 e i 29 anni ma fai parte di quei due milioni di motori spenti che non lavorano e non sanno che pesci pigliare? Hai mai pensato di tentare la carriera dell'addetto alle candele? Questa professione ti consentirà di far parte di un team agile e creativo, up to date, con una mission davvero stimolante ed interessanti possibilità di crescita! Le mansioni di un addetto alle candele sono quelle di vigilare sulle speranzose nonnine che finanziano i candelieri, fino al punto in cui arriva il momento di fare un refresh.  E' lì che è richiesta la sua professionalità: munito di sacco bianco e una dose di fiato sufficiente rastrellerà i candelieri asportando tutte le candele più corte di venticinque centimetri, ne spegnerà il sormontante fuoco della preghiera e ne getterà il cadaverino nel sacchettone. 
Se sei un giovane che aspira al successo, vieni da noi per un colloquio e per un test della capacità polmonare: ti offriamo formazione gratuita e inserimento con stage non retribuito di 3 mesi! Dai, affrettati! Non hai sentito i dati Istat? Esci dal gregge, non fare il bamboccione.

Due giovani addetti alle candele nel Duomo di Milano

Milano addobbata a festa

Manifesti elettorali Famagosta (Milano)

Non sono stata a Milano durante la campagna prima delle elezioni. Ci sono stata invece tornando da Bologna due giorni fa, e ho potuto così toccare con mano la pesantezza dello scontro che chiamare "politico" mi sembra tanto fuori luogo. La pesantezza gravava sui trentacinque strati di manifesti elettorali davanti alla stazione centrale, tutti protesi in avanti che facevano la gara a chi arrivava primo a toccare il marciapiede, a suon di cavernicoli slogan di cui si può avere un assaggio nelle foto, che sono state scattate in viale Famagosta. 
Forse aveva piovuto pochi giorni prima. Non so che cosa avesse deformato così tanto la carta da farle assumere questo atteggiamento grottesco, ma l'intera immagine la diceva davvero lunga, con il manifesto sul rischio "zingaropoli" che si sforzava in avanti e faticosamente tentava di sorpassare lo strato di fogli pro-Pisapia.

Neologismi: zingaropoli

lunedì 11 aprile 2011

Il mondo è paese

In attesa dal dottore. Discussioni con le anziane signore castanesi sulla vita da sala d'aspetto intervallate dai chi è l'ultimo? di chi appare dietro alla porta tra il campanellìo dell'acchiappasogni appeso allo stipite. A condividere le fatiche dell'attesa ci sono un ragazzino e una ragazza più grande , cinesi. A chi tocca adesso? A me. No, ci sono prima i signori, protesto indicando la coppia. Non vi pleoccupate, devo fale solo licetta. Forse qualcosa dopo va storto e il tempo di questa ricetta si dilata, si dilata. Intanto entrano: un uomo pakistano, una suora e una signora nordafricana, entrambe velate. La coppia di cinesi è dentro ormai da quindici minuti. Un'anziana signora comincia ad interpretare il prolungarsi dell'attesa: si vede che non si riescono a spiegare. Poi conclude: ormai sono più loro di noi. Guarda qua che roba. E fa cenno agli astanti. Fra un po' dovranno trasferirci tutti da un'altra parte. La signora accanto le sorride cortesemente ma non commenta. E anch'io sono indecisa se protestare contro la visione del mondo di una cara vecchietta. Rimane tutto sospeso, sull'eco di quel guarda qua il silenzio della signora magrebina e del signore pakistano, misti all'imbarazzo mio per l'aver pensato: non importa, questa ignoranza sparirà insieme alla sua generazione. Adesso anche Castano Primo è un posto pieno di lingue e colori, e anche coloro che danno l'idea di esserne scontenti ne traggono vantaggio. Nessun Carnevale, Natale o festa del Crocifisso potrà più restare indifferente alla novità demografica, ma non solo, a quello sguardo estemporaneo e spaesato che di fronte a tanta consuetudinarietà scuote e rafforza il nostro senso di appartenenza a questo luogo e la nostra identità. Sarà per questo che improvvisamente scopriamo che abbiamo perso il vizio di andare in piazza, perché ci vediamo solo i pakistani. Adesso quando al centro commerciale incontri qualcuno che conosci, c'è da stupirsi, perché ti eri dimenticata di essere a Castano. Quando me ne andai da qui, non avrei mai pensato di ritrovarmi sette anni dopo allo sportello immigrazione a regolarizzare la mia posizione di neo cittadina castanese. Adesso c'è una piscina, mille rotatorie, un centro commerciale e molti dei miei compagni di scuola hanno dei figli. La parola kebab la conoscevano solo i giovani che il sabato sera andavano a Milano. Adesso il mio babbo si fa tagliare i capelli alla maniera orientale. Molti cittadini sono pronti a marciare nella brughiera per difenderla dalla terza pista di Malpensa e altri si organizzano per fare di Castano un luogo dove si scambia e si produce cultura. Ad esempio riaprendo la casa del Popolo. 

venerdì 28 gennaio 2011

La mia prima esperienza con il navigatore

Dal momento che non abito in questi luoghi da anni, nonostante siano i luoghi della mia infanzia, della mia adolescenza, delle mie radici, molto spesso non li vivo più come famigliari, a volte mi risultano del tutto sconosciuti e si rende necessaria da parte mia una nuova esplorazione da capo a piedi, col rischio di perdersi sempre in agguato. La paura di perdermi non mi fa superare i 60 km all'ora, per la gioia di quei motoscafi con le ruote che chiamano suv, con questi fari di ultima generazione puntati nell'abitacolo e riflessi dagli specchietti e quindi dagli occhi, che servono per farti ritrovare la monetina che si era infilata in un angolo buio del cruscotto e che finalmente riemerge. Io con la mia piccola auto di vecchia generazione (ma a benzina verde) quando sulle nostre strade scende il buio che cancella ciò che rimane delle tracce della  "fedele linea bianca", martoriata e disturbata dai segnacci delle altre linee provvisorie lasciate dai mille cantieri a ore, con i fievoli fari di cui è provvista non posso vedere al di là di 50 metri davanti a me. Si tratta di un dramma profondo e di una lacerazione insanabile della mia anima: non riconosco più nulla di questi luoghi, mi perdo a Vanzaghello, dove a quindici anni arrivavo con il ciao passando dai boschi che univano il paese al mio. Adesso quei boschi sono stati tagliati profondamente dalla superstrada Milano-Boffalora e un cratere brulicante di auto si è aperto sotto il paesaggio della mia adolescenza.  Le rotonde poi, questi marchingegni maligni che si riproducono senza sosta, mangiando incroci e marciapiedi. Hanno cominciato a nascere a pochi metri da casa mia, quando ancora vivevo qua, su un incrocio piuttosto innocuo, ma consegnato ai posteri come un incrocio pericoloso. Una rotonda l'ha fagocitato e adesso molte carene di motorini e paraurti di auto frettolose giacciono là mischiate ai pezzi di costolone di pista ciclabile. Poi le rotonde hanno cominciato a conquistare pezzo a pezzo tutto il territorio. Da Castano Primo a Gallarate, a Cuggiono, a Magnago, a Legnano, ovunque è tutto un susseguirsi di rotonde, tutte uguali, che oltre agli incoroci si sono mangiate anche ogni dettaglio sul posto in cui ti trovi. Impaurita dall'estraneità del paesaggio, stasera per andare a Gallarate mi sono fatta prestare un navigatore satellitare dai miei genitori. Un tomtom per andare a Gallarate. Mi sentivo già ridicola quando in fondo alla strada per non fare casino ho spento la radio, che se no mi confondevo. Ho seguito quella voce elettronica. Non volevo fidarmi, eppure non avevo scelta. Era una macchina a dirmi dove andare, mentre io svolgevo la parte meccanica dell'operazione: guidavo. Avevo spento completamente il mio intuito, la mia memoria, il mio buon senso. Era la macchina a dirmi cosa fare. Le rotonde mi afferravano e mi risucchiavano nel loro vortice, occhio di un ciclone di strade che se ne prendi una arrivi chissàdove. Appena possibile ritornare indietro, blatera altero  il navigatore. Al ritorno ho vinto io: non potevo più sopportare di non avere nemmeno un'occasione per riappropriarmi di questo territorio, di sprecare questo passaggio su strade nere e nuovissime e deserte senza darmi una possibilità di capire. Ma cosa sono questi luoghi? Ma cosa sono io? Ho spento il navigatore, ho riscoperto la paura di sbagliare strada ma anche la mia intelligenza geografica che sgranchendosi le meningi si metteva al lavoro. 

sabato 25 dicembre 2010

Adelina Rimbrotti 3. La morte della colomba

Adelina Rimbrotti guardava la senescente compagna di viaggio, cercando di trovare almeno due motivi per trattenere la voglia di rivalsa e per evitare il cominciamento del vanesio duello. Trovò fertile il pensiero di cosa sarebbe stato di lei un giorno, superati i cinquantacinque anni, con tutto il peso di una lunga vita sulle spalle. Come l'avrebbero guardata i più giovani, lei che adesso già cominciava a smettere di stupirsi quando i quindicenni le davano del lei. Quale sarebbe stato il suo universo, cosa avrebbe desiderato, cosa avrebbe sentito di se stessa in quanto donna. Sarebbe stata cosciente in ogni segmento del cambiamento, ecco cosa avrebbe fatto. In ogni singolo istante sarebbe rimasta sempre se stessa, avrebbe sempre cercato di aderire all'idea cool che da tempo ormai si attribuiva e questo, ne era certa, avrebbe fatto di lei una bella vecchietta.
Intanto però la vicina, anche approfittando del sonno in cui era sprofondato il giovane di fronte, aveva già tolto le scarpe e allungato i piedi sul sedile opposto con un movimento rapido, muscoloso, aveva cercato a lungo una gomma da masticare da dentro la sua borsa con le scritte stile hip-hop sbatacchiandone vivacemente il contenuto e si era definitivamente appostata con la testa appoggiata all'intelligente poggiatesta, rivolta verso il finestrino e quindi verso Adelina, la quale si ritrovava con il cicaleccio del masticamento della signora pericolosamente vicino all'orecchio sinistro. E poi, naturalmente, quel braccio, su cui veniva scaricato tutto il peso dell'ingombrante figura e che avanzava inesorabilmente.
Ad Adelina dava molto fastidio quel suo fare da ragazzina, lanciato come una sfida. Sollevava le valigie inutilmente e con uno sforzo e una ricercatezza dei gesti che suggerivano una precisa volontà di esibire la propria freschezza; ad ogni stimolo sconosciuto – un rumore, una vibrazione del treno di cui non si manifestava immediatamente la provenienza – scuoteva la testa a scatti come un uccellino inesperto, spalancando gli occhi come un'ingenua gazzella. Lo scopo era senza dubbio dare l'idea di una vita sbarazzina, di corse nei campi di grano e grembiulini che schiusi rivelavano gattini. Adelina sapeva per certo che non era così; glielo dicevano l'esagerazione nel mostrare, e poi parliamo di una freschezza che non si addice ad una signora. Quando sarò vecchia, si disse Adelina, voglio che sia la mia saggezza a prendere spazio quando appaio a degli sconosciuti, non voglio che considerino di potermi includere nel loro club.
Intanto un nuovo scatto verso destra del braccio della stagionata ragazzina, che aveva quasi fatto capitolare il braccio sinistro della nostra, scaraventandolo fuori dal bracciolo, fece sì che Adelina giungesse alla decisione che sì, guerra voleva, e guerra avrebbe avuto. Puntò il gomito, lo irrorò di proteine e vi concentrò la forza dell'inimicizia. Trascorse così i successivi dieci minuti.