sabato 25 dicembre 2010

Adelina Rimbrotti 3. La morte della colomba

Adelina Rimbrotti guardava la senescente compagna di viaggio, cercando di trovare almeno due motivi per trattenere la voglia di rivalsa e per evitare il cominciamento del vanesio duello. Trovò fertile il pensiero di cosa sarebbe stato di lei un giorno, superati i cinquantacinque anni, con tutto il peso di una lunga vita sulle spalle. Come l'avrebbero guardata i più giovani, lei che adesso già cominciava a smettere di stupirsi quando i quindicenni le davano del lei. Quale sarebbe stato il suo universo, cosa avrebbe desiderato, cosa avrebbe sentito di se stessa in quanto donna. Sarebbe stata cosciente in ogni segmento del cambiamento, ecco cosa avrebbe fatto. In ogni singolo istante sarebbe rimasta sempre se stessa, avrebbe sempre cercato di aderire all'idea cool che da tempo ormai si attribuiva e questo, ne era certa, avrebbe fatto di lei una bella vecchietta.
Intanto però la vicina, anche approfittando del sonno in cui era sprofondato il giovane di fronte, aveva già tolto le scarpe e allungato i piedi sul sedile opposto con un movimento rapido, muscoloso, aveva cercato a lungo una gomma da masticare da dentro la sua borsa con le scritte stile hip-hop sbatacchiandone vivacemente il contenuto e si era definitivamente appostata con la testa appoggiata all'intelligente poggiatesta, rivolta verso il finestrino e quindi verso Adelina, la quale si ritrovava con il cicaleccio del masticamento della signora pericolosamente vicino all'orecchio sinistro. E poi, naturalmente, quel braccio, su cui veniva scaricato tutto il peso dell'ingombrante figura e che avanzava inesorabilmente.
Ad Adelina dava molto fastidio quel suo fare da ragazzina, lanciato come una sfida. Sollevava le valigie inutilmente e con uno sforzo e una ricercatezza dei gesti che suggerivano una precisa volontà di esibire la propria freschezza; ad ogni stimolo sconosciuto – un rumore, una vibrazione del treno di cui non si manifestava immediatamente la provenienza – scuoteva la testa a scatti come un uccellino inesperto, spalancando gli occhi come un'ingenua gazzella. Lo scopo era senza dubbio dare l'idea di una vita sbarazzina, di corse nei campi di grano e grembiulini che schiusi rivelavano gattini. Adelina sapeva per certo che non era così; glielo dicevano l'esagerazione nel mostrare, e poi parliamo di una freschezza che non si addice ad una signora. Quando sarò vecchia, si disse Adelina, voglio che sia la mia saggezza a prendere spazio quando appaio a degli sconosciuti, non voglio che considerino di potermi includere nel loro club.
Intanto un nuovo scatto verso destra del braccio della stagionata ragazzina, che aveva quasi fatto capitolare il braccio sinistro della nostra, scaraventandolo fuori dal bracciolo, fece sì che Adelina giungesse alla decisione che sì, guerra voleva, e guerra avrebbe avuto. Puntò il gomito, lo irrorò di proteine e vi concentrò la forza dell'inimicizia. Trascorse così i successivi dieci minuti.

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