domenica 24 gennaio 2010

Branduardo maestro di Zen

Valissa camminava per valli e montagne, fiumi e città per incontrare le persone, la più grande varietà possibile di persone. Vi si accostava e poneva semplici domande. Poi riprendeva il cammino chiudendosi in una meditazione errante dalla coda infinita, e che luminosa irrorava la via. Ma non comprendeva. Compiva ogni giorno gli esercizi assegnatole dal maestro, trascorreva pomeriggi nel silenzio dei sensi ascoltando le cascate e il vento. Parlava con i fruttivendoli, i pittori, i medici dell'anima, i sarti e gli scribi. Ascoltava i capi tribù, i responsi e le trombe d'aria. E riprendeva il cammino instancabilmente e gli erano venuti due polpacci così. Andava in Siria, in Ghana, in Tennessee, in Ucraina, in Laos e in Val d'Aosta. Scriveva lettere, trattati, bibbie e sms. Leggeva graffiti, papiri, rotoli di preghiera, steli e istruzioni per l'uso. Ma non riceveva alcuna verità. Allora scavava, spolverava, spazzava e grattavinceva. Aveva ormai ottantacinque anni quando irruppe nella sala silenziosa di Branduardo il ciapinaro. I muri erano alti e maestosi, sembrava il Duomo di Milano. Riecheggiava un clangore lontano di pentolame. Lo sgomento di Valissa era forte più che mai. Sentiva prossimo lo scadere dei suoi giorni e voleva andarsene con una risposta. Lasciandosi guidare dalle energie sante del luogo, si avvicinò a Branduardo. Notò che si trattava di un uomo sui centoquattro, esile e minuto, ma con la pelle abbronzata e tesa su muscoli calibrati allo sforzo quotidiano, sempre uguale. Non smetteva di arrabattarsi su quelle sue scodelle. Valissa era ormai di fronte a lui, seria come una statua funeraria, in attesa della verità suprema: gli occhi socchiusi e la testa leggermente reclinata all'indietro. Come se non bastasse, incrociò le braccia e piantò i piedi. Branduardo non aveva distolto lo sguardo dalle sue pentole. Ma dopo un quarto d'ora così, posò lentamente il gavettino di rame che teneva tra le mani, si appoggiò ad un bastone con una mano e con l'altra spingeva sulla sedia di paglia tentando di rialzarsi. Bloccata dall'emozione, Valissa non tentò nemmeno di aiutarlo. Al sommo di uno sforzo che sembrava immane, il vecchio sembrava stesse finalmente per erigersi in piedi, invece, rompendo il sacro silenzio e l'aura mistica, un peto poderoso sgattaiolò fuori da quel corpo di saggio.
Il cuore di Valissa non restò indifferente a tutto ciò. Sentì dentro come uno strano tremolio, un pizzicore tremendo, la pancia colta da spasmi la fece piegare a metà, poi una forza incontenibile le spalancò la bocca e poi uno dietro l'altro, in una raffica energica, strani colpi di tosse uscirono accompagnati da melodiosi giri di voce e grugniti.
Valissa stava ridendo. Per la prima volta nella sua vita. Rideva a crepapelle: non riusciva a smettere; si gettò a terra, picchiava con entrambe le mani, le lacrimavano copiosamente gli occhi, ma non riusciva a smettere e in realtà forse non voleva. Avrebbe voluto adesso ripercorrere a ritroso tutto il suo cammino e ridere, ridere.
Invece forse era stanca, forse pensava che non ne valeva la pena, chiamò un taxi e andò a farsi una pizza con le sue ex compagne di classe.